di Elena Maulini
Se dovessi scegliere una parola da associare a questa quarantena, la prima sarebbe di sicuro “SILENZIO”.
Poi ne seguirebbero molte altre, ed ognuna di queste descriverebbe in ogni caso alla perfezione questi giorni tutti uguali ma così imprevedibili.
Quando è iniziato ufficialmente il lockdown, ero a pranzo dai miei genitori assieme al mio ragazzo. Nel pomeriggio dovevamo vederci con alcuni amici per un’attesa partita a D&D (sono una nerd, lo ammetto).
Da pochi mesi mi ero finalmente decisa ad andare a vivere da sola e, ad aprile, avrei dovuto iniziare un nuovo lavoro che a causa dell’emergenza è terminato ancor prima di cominciare.
Da quell’otto di marzo e fino ad oggi, quindi, mi sono ritrovata senza “motivi validi” per uscire, chiusa in una casa che ancora non sentivo del tutto mia, in compagnia della persona che meglio e peggio sopporto al mondo: me stessa.
Le prime due settimane sono state surreali, non credo che ci sia un altro modo per descriverle. Ho perso qualsiasi routine, ho dormito molto, ho trascorso ore infinite collegata a qualsiasi social a seguire gli aggiornamenti sull’emergenza.
I volti degli amici, del mio ragazzo e della mia famiglia, anche se attraverso uno schermo, sono stati importantissimi e lo sono tutt’ora. Vorrei poter dire che anche Netflix mi ha tenuto compagnia, ma per circa dieci giorni internet non ha funzionato e l’assistenza è sparita (accidenti a voi, io non dimentico! Scherzo. Forse).
Poi, la terza settimana, è cambiato qualcosa (oltre alla resurrezione di internet, intendo).
Un pomeriggio qualunque ho deciso di aprire YouTube e cercare uno di quei tutorial dai nomi improbabili del tipo “workout in casa senza attrezzi tonifica in 30 minuti” (l’importante è crederci, dicono). La sera stessa ho puntato la sveglia presto per il giorno successivo senza sapere bene cosa avrei poi fatto.
Ho deciso di crearmi una nuova routine, di imparare un modo alternativo per scandire le mie giornate solitarie cercando di trarre, nonostante tutto e per quanto assurdo mi sembrasse, qualcosa di buono da questa situazione.
Dopo anni di ritmo lavorativo frenetico e multitasking sociale, ho imparato a prendermi il tempo per fare una cosa alla volta e ho scoperto che le giornate sono molto più lunghe di quello che sembrano. Ho ripreso in mano il mio romanzo, rimasto abbandonato a sé stesso in quelle ultime settimane, e ho capito che la solitudine, a volte, permette alla creatività di espandersi oltre i confini della mente e prendere vita propria nero su bianco.
Per la prima volta mi sono cimentata in ricette di cibi che di solito mangio al ristorante, e ho capito che non è vero che non sono portata per la cucina: sono solo un po’ troppo pigra e senza pazienza.
È per la luce del sole che a quell’ora diminuisce di intensità ma scalda ancora, per il profumo del vento ancora rovente ma già di un tiepido frizzante, per quella sensazione di calma e contrastante euforia delle ultime ore che separano il giorno dalla notte.
Ho avuto la conferma che il rumore della pioggia è uno dei suoni che preferisco al mondo.
Ho fatto pace coi miei sbalzi d’umore e ho capito che può capitare, nella stessa giornata, di provare emozioni contrastanti una dietro l’altra senza apparente motivo. E va bene così.
Mi sono sempre considerata una persona dal carattere particolare e non ho mai avuto problemi a trascorrere del tempo “isolata” dal mondo, per questo sono rimasta stupita della mia reazione iniziale a questa situazione. Anche questo silenzio che i primi giorni mi ha inaspettatamente spaventato, però, mi ha insegnato un nuovo modo di ascoltare me stessa e ciò che mi circonda.
Non è da me essere ottimista a priori (proprio per niente, mi definirei più una “cinica cautamente speranzosa”, se mi concedete la licenza poetica), però solo per questa volta prometto che mi impegnerò ad esserlo. Quando impareremo a vivere in quella che sarà la nuova normalità, confido che non dimenticheremo questi mesi. Almeno, io voglio farlo.
Anche dopo, quando riprenderò a correre per le cose della vita, voglio comunque trovare il tempo di alzare lo sguardo al cielo almeno una volta al giorno. Possibilmente alle 17.30.